Nutrizionisti, che noia.

E’ uno strano periodo per i nutrizionisti, da una parte sono sempre al centro dell’attenzione, interrogati in qualunque modo per tirar fuori dagli alimenti “valori nutrizionali e benefici”; intervistati in tv e su riviste per spargere a tappeto consigli generici,che spesso possono aiutare a capire meglio, spesso confondono il pubblico che riferisce di aver letto e sentito “tutto e il contrario di tutto”.

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Dall’altra si sentono attaccati da tutti quelli che sono definiti come “abusivi”, che oltre a essere definiti tali, lo sono proprio: prescrivono diete senza averne qualifica.

Due obiezioni, per sollevare un po’ di discussione.
La dieta, diversamente, per dire, dalla patologia cardiologica è qualcosa su cui tutti hanno un’opinione, un’idea e una voce in capitolo.

Da quando siamo bambini sono la mamma e la nonna che ci dicono cosa mangiare, o cosa sarebbe meglio mangiare se sei sato male…
Se abbiamo una patologia cardiaca – mi auguro – che la nonna non ti dica “perchè non prendi questa medicina che a me ha fatto tanto bene?”.
Questo è perchè la scienza dell’alimentazione è piuttosto nuova.

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Prima c’erano anche rimedi “casalinghi” per i problemi di cuore come decotti di erbe o rituali tribali. Tempo al tempo, la smetteremo presto di sapere tutti come si fa.

La seconda antipatica precisazione riguarda proprio gli abusivi.
Ci sono e sono molti,nel nostro e in altre professioni.
Il mio parrucchiere cita sempre i “parrucchieri cinesi che te fanno la piega a 6euro”.
Forse riescono a fare leva sulle persone perchè una parte del mondo-nutrizione non è in grado di rispondere a una domanda da parte del suo “pubblico”.
Mi ripeto, sarò provocatoria, ma la frase del “ci stanno rubando il lavoro” proprio non la condivido, in nessun ambito.
Gli abusivi ci sono e fin tanto che potranno insinuarsi all’intero della legislzione con semplicità, ci saranno.
Gli albi, gli ordini e le associazioni professionali si stanno – a loro modo – muovendo a riguardo.

Rimane necessario fare due cose:
1. smettere di incolpare gli abusivi della mancanza di lavoro, se le persone hanno scelto un personal trainer, una app o uno chef per la loro dieta è perchè uno di questi tre ha saputo dare una risposta alla domanda.
O perchè chi ha chiesto ignorava che fosse illegale.
2. Studiare di più. Al punto che tra 10 anni le persone che si rivolgono alla qualunque per avere una dieta, vengano viste come delle sciocchine non interessate alla loro salute, perchè è ai professionisti che ci si rivolge.
E i professionisti sanno.
Di più e meglio.
Utopia? Forse si, forse no.

Di certo ho raccolto dei dati* interessanti a cui vorrei fare il “pelo”.
Circa l’80% di quelli che mi hanno risposto si sono rivolti a un professionista della salute per perdere peso, il rimanente 20% per ricevere indicazioni riguardo la cosi detta educazione alimentare.
Se i miei pazienti sono specchio della realtà, questo 20% è in forte aumento.
Sono sempre di più le persone che si rivolgono a un esperto per “smettere di stare a dieta” e “imparare a fare da solo”.

Stando a sempre più numerose indagini, “fare la dieta” è un percorso sempre più breve e sempre più fallimentare.
Si inizia più o meno motivati, si inciampa in qualche inconveniente e si smette subito o dopo un po’.
E’ necessario, rispondere alle persone con delle soluzioni un po’ diverse da “segui la dieta e basta” o “non andare a cena fuori”. Tra l’altro è così retrò.

Bisogna però essere chiari. Un percorso di cambiamento è ben più lungo di “questo è il tuo menù per un mese”.

Ah si, e molto molto più impegnativo.

Fare una dieta è impegnativo per quasi tutti quelli che decidono di iniziare o iniziare di nuovo.
Iniziamo col trattare i nostri pazienti alla pari e non come sottoposti di un ruolo che nessuno ci ha dato.
Colonnello nutrizionista? Ma dai.
Ci hanno chiesto aiuto, giusto.
Questo è già riconosciuto dal fatto che a fine visite e controlli ci paghino.
Togliamoci il camice, ogni tanto.
Che una persona che chiede aiuto non è uno che merita di essere trattato “da meno”. Qualsiasi sia il tipo di aiuto che sta chiedendo.

Ciò che è stato “denunciato” come mancante nella nostra categoria è una cosa con cui so già che mi giocherò la stima del mondo della psicologia, a cui faccio il filo e tesso le lodi da mesi.
Secondo chi ha risposto, siamo una categoria bacchettona, poco empatica e che dovrebbe essere “un po’ psicologo”.giphy
Mancheremmo di empatia, che è meglio di dire “un po’ psicologo”, che psicologo o lo sei o non lo sei.
Cerco di riprendere qualche punto.

Empatia iniziale. Far sentire a proprio agio una persona non è semplice per tutti, ma si può imparare.
Empatia nel percorso, soprattutto se e quando le cose non vanno come previsto.
Flessibilità nell’ottenimento dei risultati.
E’ dagli errori che si impara a fare meglio, se non permettiamo ai nostri pazienti di sbagliare saremo solo “uno dei tanti da cui sono stata” nella storia della loro vita.

Ascolto.
E’ impossibile dopo una sola prima visita sapere e indovinare al 100% una “dieta”, includendo gusti, tempi, possibilità (anche economiche) e varietà.
Come fare dunque? Includere delle alternative è una buona scelta, in questo modo se nella dieta inserissi opzioni che a me sembrano plausibili, ma per te non lo sono, avrai un po’ di flessibilità all’interno della quale muoverti.
Aggiungere che, col procedere del tempo, dei risultati e dei controlli, sarà possibile sempre aggiustare il tiro, sistemare, aggiungere o togliere opzioni a quella iniziale.

Un appunto.
Un nutrizionista può dare “supporto emotivo” ed essere più o meno motivante e formato per farso, ma se in un nutrizionista, o in una dieta, si sta cercando supporto emotivo, è probabile che sia sbagliata la ricerca in partenza.
Probabilmente, prima di seguire delle indicazioni relative al cosa si mangi, sarà importante capire con chi di dovere “come mai non si riesca a seguire fino in fondo”, “come mai ci si saboti continuamente”.
Un nutrizionista, di questo, può avere solo un’idea.

(Hanno risposto ai sondaggi circa 2000 persone, questo non rende MINIMAMENTE quanto scritto sopra una fonte attendibile, un test valido o altro. Tutto l’articolo vuole esclusivamente essere di spunto e di discussione per i nutrizionisti, medici, dietisti e per i pazienti.)

Alimentazione e capelli, si sa ancora poco.

“Vivo da sempre insieme ai miei capelli”
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“I capelli sono  dei filamenti cheratinici prodotti dalle cellule epiteliali dei follicoli piliferi.”
Fine della definizione.
Sostanzialmente, come le unghie i denti e i loro fratellini “peli”, fanno parte di quelli che non hanno ben deciso se preferiscono stare dentro o fuori.
Di certo fuori, godono di grande fama, soprattutto tra gli scaffali delle farmacie, dove è pieno pieno di integratori che aiuterebbero, favorirebbero, migliorerebbero.

Uso il condizionale per due motivi.
1. Gli integratori, diversamente dai farmaci, non hanno necessità di studi e test continui per essere approvati e messi in commercio.
(Questo non toglie che alcuni produttori facciano test e verifichino l’efficacia dei loro prodotti, fortunatamente).
2. Sulla correlazione integratori – capelli ci sono pochissimi studi e ancora meno revisioni.
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Se aprite Pubmed trovate davvero poche correlazioni, tra i due.

Anche con la tanto super-citata biotina.
Esistono in totale 18 casi (18 sono un po’ pochi, no?) di correlazione tra l’integrazione di biotina e un consistente miglioramento della crescita e/o della struttura dei capelli.
Buona parte di questi, sono stati studiati in persone che avevano altre patologie pre -esistenti, che condizionano la crescita e il benessere di capelli e cuoio capelluto.
Motivo per il quale l’effetto della biotina, dovrà ancora essere studiato e analizzato.

Come sottolinea Patel D nella sua revisione, al momento non è sensato somministrare a tappeto l’integrazione di Biotina, senza aver accertato le cause specifiche per cui si manifesti ad esempio un’aumentata perdita di capelli o problematiche a carico della cute.
Si stima che la perdita di capelli giornaliera sia, in media di 50 capelli e che, una perdita superiore ai 100 al giorno sia definibile come una “perdita consistente“.

La salute di capelli e del cuoio capelluto pertanto, rimane, per il momento genericamente correlata al livello di idratazione e all’alimentazione e allo stile di vita.
Non ci sono riferimenti specifici a cibi, alimenti o integratori utili al miglioramento.

Quindi, prima di procedere a integrare con vitamine, di cui non è detto ci sia bisogno, sarà necessario porsi delle domande riguardo il nostro stile di vita.
Oltre la dieta e il livello di idratazione, anche l’assetto ormonale, soprattutto negli uomini, sarebbe direttamente correlato alla salute del capello.
Non meno importanti sono fattori di stress. In molti correlano momenti stressanti della propria vita a giorni in cui si perdano più capelli, o in cui la cute “ingrassi” prima.

Non da ultimi, contano di certo fattori genetici, ambientali (come l’ inquinamento) e ormonali.
Attendiamo fiduciosi aggiornamenti scientifici a riguardo.

– Zinc and Skin Disorders.
Ogawa Y, Kinoshita M, Shimada S, Kawamura T

– Biotina and Acetazolamide for Treatment of an Unusual Child with Autism plus lack of Nail and Hari Grwth.
Benke PJ, Duchowny M, McKnight D

– A reviwe of the use of Biotin for hair loss.
Patel DP, Swink SM, Castelo – Soccio L

– Serum Biotin levels in women complaining of hair loss
Trueb RM

– Anatomia, istologia e fisiologia dell’uomo.
Martini Bartholomew

Gelato

Il gelato è come le polpette, la pizza o le lasagne. Piace a tutti e se ne trova di ogni varietà. Secondo un’indagine AIDI del 2009, in Italia se ne consumerebbero circa 12kg l’anno a persona. Che sono circa 1 kg al mese, che sono circa 1 cono artigianale medio-piccolo a settimana.

Prima che ci sentiamo tutti autorizzati ad aumentarne il consumo, respiriamo, è una media.giphy

Veniamo ai punti salienti, alle chiacchiere in circolo e alle mezze voci senza alcun senso nutrizionale.

GELATO INDUSTRIALE VS GELATO ARTIGIANALE.
Lotta impari, direte voi.
Come sempre capita in nutrizione, non esiste meglio o peggio, non esiste buono o cattivo. Il gelato artigianale tradizionale, quello che utilizzerebbe uova, latte, zucchero e panna è -se di buona qualità- nutrizionalmente più bilanciato. 

Conterrebbe infatti, per farne una stima, una buona proporzione tra lipidi, proteine e carboidrati, quasi tutti zuccheri.
Quello industriale, spesso a causa dell’uso di latte in polvere è molto più sbilanciato a favore dei carboidrati (oltre il 60% della composizione del gelato, secondo le tabelle di nutrizione degli alimenti).

Rispetto alle kcal, industriale batte artigianale.
Il motivo è semplice, meno grassi (9kcal ogni grammo) = meno kcal.
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In termini di qualità perciò, il gelato artigianale batte(rebbe) quello industriale.
Certo, se gli ingredienti sono freschi e a loro volta di qualità.

Il gelato può sostituire un pasto o è meglio per merenda?
Entrambi.
Ad personam. 
Se abbiamo bisogno di consumare delle merende leggere e povere di calorie e possiamo chiudere un occhio sul fatto che siano sbilanciate rispetto ai nutrienti, possiamo optare per un gelat industriale o per un artigianale piccolo.
Se dobbiamo controllare che nella nostra alimentazione non ci siano zuccheri in eccesso tutti insieme felici in circolo,converrà preferirne uno artigianale, magari con una cialda o due per aggiungere un briciolo di fibra che il gelato di per se non ha.
Motivo per cui, il gelato ai pasti è consigliato solo se si necessita di consumare un pasto in velocità. La sua carenza di fibra e il contenuto in zuccheri semplici infatti, limita fortemente il senso di sazietà che un gelato ci donerebbe rispetto che so, ad un panino.

 

Meglio gusti alla frutta o le creme?
Il discorso è molto simile. Nei gelati artigianali i gusti alla frutta sono leggermente più carichi di zuccheri e meno calorici, viceversa le creme più ricche in grassi, ma meglio bilanciate. giphyAll’interno di uno stile di vita sano ed equilibrato, possiamo senzameno consumare del gelato preoccupandoci esclusivamente della sua qualità e degli ingredienti che contiene.
Proprio riguardo gli ingredienti, sia per fastidi, patologie che per gusto, sono sempre più frequenti gelaterie che offrono alternative non tradizionali con bevande vegetali in sostituzione del latte, o altri sostituti rispetto a uova e zucchero. Se le sostituzioni sono su un singolo ingrediente (latte con bevanda vegetale) le variazioni in termini di valori nutrizionali dei macronutrienti saranno quasi trascurabili, se invece per modificare il prodotto finale, le soluzioni sono molteplici, (sostituire zucchero con dolcificante, frutta fresca con succhi o altro) a livello nutrizionale avremo davanti un altro prodotto.

Il gelato fatto in casa a base di frutta e banana congelate?
Innanzi tutto ,per rispetto alla tradizione, quello non è gelato. 
E’ però una buona alternativa, di certo ipocalorica, rispetto ai gelati convenzionali che può, all’interno di alcuni regimi alimentari essere utile ad alleviare la “voglia di dolce”.

La ricetta di seguito:
PER 4 PORZIONI: 
2 banana sbucciate, tagliate a rondelle e congelate per almeno 2 ore
1 bicchiere di latte/bevanda vegetale/yogurt
per il gusto del gelato:
altra frutta (preferibilmente fragole, frutti rossi o pesche)
cioccolato fondente fuso o 1-2 cucchiaini di crema di nocciole
1-2 cucchiaini di farina di cocco
PROCEDIMENTO:
In un mixer o frullatore (che sia strong), frullate le banane precedentemente congelate con il latte o lo yogurt e la frutta fresca (o l’altro “gusto” scelto).
Disponete in ciotole mono-porzione e servite o ri-congelate.

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http://www.migliaccionutrizione.it/articoli_tempo_gelato.html

Understanding fat, proteins and saliva impact on aroma release from flavoured ice creams. Ayed C. et al
Sugar content in common prepackaged sugary foods sampling from supermarkets – Hou L. et al

http://nut.entecra.it/646/tabelle_di_composizione_degli_alimenti.html

Mais

Vi racconterò una cosa privata.
Questo è un blog e si può fare.

giphy.gifMa non ditelo a nessuno.
Estate di qualche anno fa, pub sul mare.
Dopo cena, ho bevuto un cocktail alla frutta.
Ho una tolleranza bassa bassa nei confronti dell’alcol. Potete completare il sillogismo da sole.
Su di me ha avuto un effetto divertente, gli amici dicono che io abbia riso, molto, per tutta la sera.
Sul tavolo c’era ancora metà del cocktail e del mais tostato, al che, mi è venuto un dubbio atroce: “Come ha fatto questo mais a non diventare pop corn?”.
Domande esistenziali.
Poi ho continuato a ridere e me ne sono dimenticata.

Il dubbio mi si è riproposto l’indomani.
Ho acchiappato google e scoperto che esistono tanti tipi di mais.

FINE DELL’ANEDDOTO

Parliamo di cose serie, il mais non è verdura, non è un contorno, è un cereale.
Cereale come il riso, come il farro, come il Kamut® .
E come tale andrebbe trattato.
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Vediamo meglio:
Il mais dolce (quello in scatola più comunemente utilizzato) è costituito da oltre il 70% di acqua.
Di ciò che rimane, il 74% è costituito da carboidrati( di cui buona parte amidi e buona parte zuccheri semplici), il 12% di lipidi e meno del 15% di proteine. Rispetto ad altri cereali, il profilo proteico non è dei più entusiasmanti.

Essendo anche meno ricco di fibra degli altri cereali, il suo indice glicemico è leggermente più elevato.
Ecco, adesso che avete un po’ di paura e state pensando “allora è meglio non mangiarlo” arrivo io.
giphy.gifCome al solito, non esiste un alimento che non possa essere inserito in una dieta.
Nello specifico il mais, può entrare prepotentemente nelle nostre insalate o ad accompagnamento di secondi piatti di carne o pesce, badando bene, di bilanciarne gli accompagnamenti e le fonti di carboidrati già presenti nei nostri pasti.

E del pop corn, che mi dici?

Che se cotta ad aria, in modo che il chicco possa “scoppiare” per il semplice aumento della temperatura interna, senza bisogno di aggiungere oli o burri è un’ottimo snack per una merenda diversa, o davanti a uno schermo.

#citalefonti:
http://nut.entecra.it/646/tabelle_di_composizione_degli_alimenti.html?idalimento=000070&quant=100

Dieta chetogenica? Non scherziamoci su.

Ne avete sentito parlare in tutti i modi, l’avete sentita semplificare con “basta che togli tutti i carboidrati”, ma non è propriamente questo.
La dieta chetogenica fa la sua comparsa nella storia, non col sig. Dukan, ma intorno agli anni ’70.
Consisteva, già allora, in una sostanziale riduzione dei grammi di carboidrati da inserire nel proprio apporto giornaliero.
Di carboidrati, non di pane o di pasta.
Da allora è stata studiata e analizzata e si sono visti quali e quanti benefici apporterebbe.

giphy.gifQuesti sono soprattutto in termini di perdita di peso, riduzione delle circonferenze addominali senza compromissione della massa magra.
Se bilanciata e controllata attentamente.
Come dice Francesco Buoninconti, “La chetogenica è pericolosa se non studiate”.
In che modo?
Qui viene il bello.
Queste cosine qui sopra, si possono ottenere attraverso un protocollo chetogenico solo ed esclusivamente sotto stretto controllo medico.

Per iniziare una dietoterapia chetogenica, sarà necessario fare delle visite mediche che escludano alcune patologie specifiche ad esempio a carico di reni e fegato, sarà necessario fare esami ematochimici specifici che ci scagionino da essere soggetti “non idonei” e il medico valuterà se e come modificare il dosaggio di eventuali farmaci che stiamo prendendo.
Una volta partiti, si dovrà essere pronti ad un monitoraggio medico, nutrizionale e farmacologico costante.
giphy (1).gifGià, perchè la dieta chetogenica, come la si intende oggi, è una vera e propria terapia.
Altro che “ho tolto pane e pasta, mangio tutta la carne che mi pare”.
I carboidrati, le proteine e i lipidi infatti sono ancora tutti e tre presenti all’interno dell’alimentazione, in proporzioni nient’affatto “bilanciate”.

Ma allora perchè utilizzarla?
In termini di perdita di peso, se ben seguiti e monitorati può essere utile per prepararsi alla chirurgia bariatrica o per ridurre le misure di peso e circonferenza addominale in caso di obesità grave. In alcune patologie invece, come l’epilessia farmaco resistente, si registrano effetti significativamente positivi.

Ecco che di nuovo parliamo di terapia alimentare, proprio come fosse un farmaco.
In quest’ultimo caso, si utilizzano schemi chetogenici ipocalorici, (molto ipocalorici) in cui il bilanciamento dei macronutrienti deve tenere fede ad un rapporto ben preciso.
Traducendola più semplicemente, potremmo trovare nel nostro menù 2 piccoli bocconcini di platessa da cuocere in 40g di burro.
Il burro rispetto alle “solite diete” può apparire motivante, ma di certo ci stufa presto.

Il tutto eseguito con una precisione millimetrica, dalla quale è bene non uscire.
giphy (2)Questo tipo di “regime” infatti, non ammette arrotondamenti o extra al di fuori di ciò che è prescritto.

Motivo per il quale, mi ripeto, non è di certo l’ultima trovata detox per la prova costume di quest’anno.

Motivo per il quale, mi ripeto, è necessario che la valutino per voi un medico seguito eventualmente da un dietista/nutrizionista.

Ma mi hanno detto che per farla era necessario comprare dei prodotti…
I protocolli chetogenici possono essere sviluppati solo a partire dagli alimenti (spesso con integrazione di acqua, alcuni sali minerali e vitamine), o insieme a prodotti specifici che rispettino le proporzioni e i rapporti tra i nutrienti di cui detto sopra.
Non è necessario o obbligatorio, ma anche questa è una decisione del medico e del dietista/nutrizionista.
Ma può farla chiunque?
Esclusi alcuni tipi di patologie o di stati fisiologici in cui è bene prestare attenzione (gravidanza, allattamento…) è possibile farla.
Certo è, che bisogna essere dei pazienti davvero “complianti”, cioè in grado di seguire alla lettera le indicazioni date.
Una volta finita?
In alcuni casi patologici è possibile ripeterla ciclicamente o interromperla “al bisogno”.
Se è l’inizio di un percorso dimagrante, poi si dovrà nuovamente puntare ad un equilibrio basato su una dieta bilanciata ed equilibrata.

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a. The relationship between d-beta-hydroxybutyrate blood concentrations and seizure control in children treated with the ketogenic diet for medically intractable epilepsy.

b. The use of nutritional supplements to induce ketosis and reduce symptoms associated with keto-induction: a narrative review.
c. The effects of ketogenic diet are numerous

Eliminare non serve. Includere invece sì.

“Per un mese togli pane, pasta, legumi e latticini, così ti sgonfi”.
Questa è, tra tutte, la voce più comune, fastidiosa e insensata che le mie orecchie abbiano sentito.
Più della sciocchezza del Detox, più dell’eliminazione ad minchiam del glutine dalla propria dieta, quest’idea secondo la quale dovremmo tutti sgonfiarci è la nuova caramellina di cui ci stiamo nutrendo.
giphy (2).gifFinchè la dice la zia, che l’ha sentito al bar, che l’ha sentito in televisione, che al mercato mio padre comprò, amen.

Quando sono alcuni colleghi a farla così banale e semplice, ahi ahi ahi.

Partiamo da un presupposto.
Esclusi protocolli specifici, come il metodo Apollo per psoriasi e dermatite atopica, o la dieta chetogenica per casi patologici molto particolari monitorati da stretto controllo medico, non esiste un solo motivo al mondo per eliminare massicciamente un gruppo di alimenti “per sgonfiarsi”.
Sgonfiarsi, come Detox è un termine che ognuno interpreta secondo necessità.
giphy (3)Io interpreto Jason Momoa secondo necessità.

E’ chiaro che eliminando completamente le più utilizzate fonti di carboidrati si ottiene un rapido effetto “dimagrante”.
Il motivo è che sostanzialmente abbiamo ridotto la quota calorica introdotta nella giornata.
Con la piccola particolarità che non si è affatto dimagriti.
Eliminando massicciamente alimenti come pane e pasta dalla dieta si rischia di utilizzare parte della nostra riserva muscolare, si perde cioè massa magra a discapito di quella grassa.
Se volete solo un numero più piccolo sulla bilancia, fate pure, ma non andate in giro a dire che siete dimagriti.
Se volete solo un numero più piccolo sulla bilancia, ci sono stratagemmi meno impegnativi. Pesatevi col gatto in braccio e poi senza, siete dimagriti? Ecco, è la stessa cosa.

giphy (4).gifNon sarà motivante, non sarà miracoloso, non sarà Detox.

E’ per questo che dobbiamo (collega, ce l’ho con te!) puntare su altro.
La dieta del “togli questo per un mese” non è educativa e ha delle recidive non da poco.
Dopo un mese senza pasta, ammesso che il diretto interessato riesca, un amante della pasta si vendica.
Potrebbe “compensare” mangiandone piatti enormi, facendosi forza del risultato ottenuto e dell’odio maturato nei confronti della nostra categoria.
Punterei sul cercare soluzioni diverse.
Imparare a includere. Capire come comportarsi rispetto alle scelte che si fanno nel carrello e a tavola.

Parlando di pasta si possono valutare diverse soluzioni.
Consumarne una porzione adeguata nella giornata, optare per una scelta meno frequente ma più abbondante, bilanciare diversamente gli altri nutrienti da assumere nel giorno/nella settimana.

Mi rendo conto che imparare a gestire sia ben più complesso che “seguire un menù”, mai noi nella vita di tutti i giorni non abbiamo un menù.
Anche se lavoriamo a scuola o in un altro posto in cui ci sia una mensa, abbiamo sempre una certa possibilità di scelta.
E’ su quello che dobbiamo lavorare. Come lavoro è lungo e impegnativo, per chi è “a dieta” e per chi segue.
I risultati però, sono sconvolgenti.
Quando un paziente va in vacanza senza preoccupazione del cibo, quando è in trasferta e sa come comportarsi, quando i concede i suoi extra perchè ha imparato a gestire,
ABBIAMO VINTO TUTTI.
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Siamo circondati di opzioni veloci, comode e apparentemente buone (almeno a livello di palatabilità) che ci remano assolutamente contro rispetto all’obiettivo SALUTE.

Insegnare come gestire una carbonara, senza temerla o sentirsi in colpa dovrebbe essere uno dei nostri scopi.
Insegnare che tutto può entrare in una dieta è l’unico modo per renderla uno stile di vita.

Essere più credibili e preparati di “così ti sgonfi”.

Ce l’abbiamo tanto col mondo dei “falsi miti alimentari” che dovremmo smetterla di essere i primi a proporre stronzatine di questo tipo.

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Le uova.

Le uova, come i latticini, hanno subito un po’ la “demonizzazione random” tipica di questo periodo nei confronti degli alimenti.

Troppo grasse, alzano il colesterolo nel sangue, la salmonella.
Le sciocchezze. Come sempre si indaga poco e ci si attacca a 1-2 frasi ad effetto.
Proviamo a darci qualche informazione tecnica e valida.

#1 Composizione

La cosa più contentuta nelle uova è l’acqua.
Circa il 77% di un uovo è fatto d’acqua.
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Nel rimanente 23% circa troviamo circa 10g di proteine, 8,5g di lipidi per un totale di circa 120kcal per 100g di uovo, un uovo solo ne contiene circa 80.
Tanto? Poco? Dipende.

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Tra le proteine, presenti perlopiù nell’albume, troviamo una delle più belle combinazioni proteiche che un alimento preso da solo possa contenere.

I cereali ad esempio, carenti di lisina hanno bisogno di essere “accoppiati” ai legumi per fornire una dose proteica qualitativamente e quantitativamente valida.

L’uovo invece, sta bene come sta.

Buona composizione è anche quella dei lipidi.
Ha un buon contenuto in grassi mono e polinsaturi (buoni), soprattutto della famiglia ω6, e i pochi grassi saturi (cattivi) che contiene sono sostanzialmente acido stearico e palmitico, non aterogenici, ovvero non in grado di favorire la comparsa di lesioni aterosclerotiche.
I “meno peggio”.

Il quantitativo di grassi contenuto in 2 uova è ben inferiore (poco più della metà) di quello di un bocconcino di mozzarella fiordilatte.
Non ce l’ho con la mozzarella, ma in generale 2 uova rappresentano un “secondo” ben più saziante di un bocconcino di mozzarella.
Inoltre in generale, i bocconcini di mozzarella pesano più di 100g e difficilmente ne consumiamo una porzione più piccola.
Se dobbiamo tenere d’occhio il contenuto di grassi della nostra dieta, uovo batte mozzarella 1 a 0.
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#2 Il colesterolo
” Il dottore ha detto che per il colesterolo alto, devo togliere le uova per un po’. ”
Un po’ retrò come raccomandazione.

L’uovo, in particolare il tuorlo, ha di certo un buon contenuto in colesterolo.
Ma non è così semplice.
Il meccanismo con cui il nostro colesterolo nel sangue aumnta NON E’ DIRETTAMENTE CORRELATO A QUANTO NE ASSUMIAMO CON L’ALIMENTAZIONE. 
Il nostro organismo e i metabolismi dei nutrienti, funzionano un po’ diversamente da un sacco vuoto.
Non è il colesterolo che mangiamo che alza il colesterolo nel sangue“.

#3 Il colore del tuorlo, il colore del guscio.
“Compro solo le uova a guscio bianco”.
Sei razzista?

Non si giudica un uovo dal guscio che porta.

Il colore del guscio delle uova dipende sostanzialmente dalla razza/famiglia a cui apparteneva la gallina. Non nutrendoci noi del guscio dell’uovo, il suo colore non apporta differenze sostanziali a livello nutrizionale.
E il tuorlo?
“Un tuorlo era chiaro chiaro, l’altro arancione molto scuro, da che dipende?”
Sostanzialmente dai mangimi di cui si sono nutrite le galline. Qui qualche differenza a livello di composizione dell uova ce l’abbiamo, ma niente di incredibilmente rilevante.
Inoltre spesso è indicato in etichetta.

#4 La cottura
Iniziamo col dire che le uova sono meglio cotte che crude.
Anche perchè, ciò che più risente in positivo della cottura è il bianco dell’uovo.
Esso infatti, contiene  avidina, una proteina che, consumata cruda e in eccesso inibisce l’assorbimento di alcune Vitamine del gruppo B e a lungo termine, può portarne una carenza.
No, se ieri hai mangiato un tiramisù non succede niente.
Si, se vuoi diventare Rocky e mangi 12 uova al giorno crude, potresti avere una carenza vitaminica.
Anche fosse, che ti importa, sei Rocky! 

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Le cotture preferibili dunque, sono quelle che rendono l’albume bianco e non
stra-cuociono il tuorlo.
In camicia o alla coque ad esempio permettono di mantenere la maggior parte dei nutrienti che sono sensibili al calore e di inibire i cosidetti antinutrienti (come l’avidina).

Un altro consiglio importante, riguardo questo straordinario alimento è quello di evitare cotture (anche prolungate) con grassi aggiunti.
Frittate, omelette e simili, andrebbero preferite su pentole/padelle idonee anzichè in aggiunta ad oli o burro.
Questo le rende sostanzialmente più digeribili, soprattutto in termini di durata della digestione.
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Per digerire un uovo sodo, ci vogliono poco meno di un paio d’ore.
Lo stesso ovetto, strapazzato con olio o burro richiede più di 3 ore di digestione.
Se volete fare il bagno al mare, sodo vince strapazzato 1 a 0.

#5 Quante uova a settimana?
Le nostre linee guida, indicano come valido il consumo di 4 uova a settimana, divisibile in 2-3 porzioni.
Se seguiamo un’alimentazione latto-ovo vegetariana, o se per abitudine consumiamo uova a colazione, possiamo arrvare anche al consumo di 1 uovo al giorno.
Certamente, in questo secondo caso, sarà necessario valutare assieme ad un dietista/nutrizionista come questa frequenza possa essere inserita nella nostra “dieta” senza sbilanciarla.

FONTI:
– Cappelli,Vannucchi – Chimica degli alimenti
http://nut.entecra.it/646/tabelle_di_composizione_degli_alimenti.html
http://www.sinu.it/public/20141111_LARN_Porzioni.pdf

Tu non sei quanto pesi.

Fermati un secondo.
Ogni grande autore  ha detto che “l’uomo è ciò che…” a scelta.
Sei ciò che mangi, sei le persone che scegli, sei gli appuntamenti che rimandi.
CHE STRONZATA.
Ognuno di noi è molto molto altro. Se ha voglia di esserlo.

Quegli altri sono tutti aspetti, realistici e momentanei.
E modificabili.
Il peso è uno di questi.
Quanto pesi cambia.
Prova tu stessa.
In un giorno qualsiasi, in cui sei in casa, pesati un numero spropositato di volte.
7-8 ad esempio.
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Vedi, non è stabile.
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Non è neanche così rappresentativo di quello che sei.
Tu non sei quel numero, casomai sei la persona che ci si confronta.
Se proprio devi essere qualcosa di riduttivo, tu sei ciò che fai con quel numero.
Quanto lo odi, quanto lo controlli, quanto cerchi di cambiarlo o di mantenerlo così.

Proprio come non esiste una “giusta porzione” o un “cibo giusto”, neanche il peso può essere giusto.
Più che ideale, giusto, è utile definire un peso ragionevole.
Per il tuo stato di salute.

Non per l’estetica, non per il bikini, non perchè una star pesa così.
Un peso che sia raggiungibile e semplice da mantenere, se stai cercando di modificarlo.
Che tenga conto della tua vita e del tuo stato di salute.

Quindi meglio parlare di un intervallo ragionevole di peso.

L’indice di massa corporea? Ni.
Prendiamo l’indice di massa corporea, si calcola come in immagine e se il risultato è tra 18 e 25 si dice che la persona con quelle misure sia NORMOPESO.
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Come lo spieghiamo allora che i rugbysti che seguo sono tutti sovrappeso?
Prendiamo me ad esempio, che se no pensate al rugby e vi distraete.
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Io sono normopeso da circa 44 kg a circa 59 kg.
Sono 15kg di intervallo.
E’ facile dedurre che il mio stato di salute si infili nel mezzo di questi 15 kg e vari molto a seconda del mio stile di vita.
(Non tornare sul rugby, continua a leggere! )

Posso pesare 55kg dopo un periodo senza attività fisica, sentirmi debole e spossata, non consumare le giuste quantità (per me) di nutrienti.
Posso pesare 55kg ed essere molto allenata e tonica, avere anche una taglia in meno e sentirmi energica.
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Cosa cambia? Cambia che la bilancia non telo dice.
Lei dice solo ” 55kg”.
Di cosa? Non lo sa.

Quindi perchè darle un’importanza che non merita?
Perchè non siamo abituati a guardarci e a valutarci sulla base di altro.
Perchè mi piaccio è un concetto ben più complesso di “giusto/sbagliato”.

Non lo so da dove ci derivi questo bisogno di dirci che non andiamo bene.
Traumi infantili, la società, la moda… Tutte e tre…

E’ come quando ho comprato una maglia che non mi piaceva perchè la mia era macchiata, quella aveva lo stesso colore ed era in saldo.
Non mi piaceva.Ma dovevo acquistare velocemente una maglia.
Sono andata a studio.

La segretaria ha esclamato subito: “Che bella maglia! Dove l’hai presa?” –
“Tu dici? Non mi sta bene”
E poi i miei pazienti, tutti: “ma che bella!” “Sai che ti sta proprio bene?” “Che carina questa maglia”.
Persino il portiere, che in genere non so sbilancia mai.
A fine giornata 15 persone mi hanno detto che la mia maglia era carina, bella o stupenda.
Ma io niente, volevo avere ragione a tutti i costi.
Non è bella questa maglia.

Torno a casa e incontro la signora che abita di sopra.
Abbiamo confidenza.
Le chiedo cosa pensasse della mia maglietta nuova. Esclama un normalissimo “carina”, senza aggiungere altro.

TADAAAAN! Visto, non le piace? Avevo ragione io.

15 persone a favore – 1 semi-neutra, do retta a lei.

Quante volte sei fuggita di fronte a un “sei bellissima” perchè hai pensato a un numero sotto i piedi che non ti piace?
Ti chiedo una cosa.
E se fossi bellissima per altri 15 motivi, daresti comunque retta a quell’unico numero?
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Ciò che davvero conta, è di cosa siamo fatti.
Quando ero bambina, il mio papà mi pose un – chiamiamolo così- “indovinello”, lo avrai sentito di certo:
Pesa più un chilo di piume o un chilo di piombo?

A 5-6 anni pesa di più un kg di piombo.
Non capisci perchè non sia così.
Più in là con l’età lo sai, che è comunque un chilo.
E’ lo stesso indovinello.
Pesa più un chilo di massa grassa o uno di massa magra?
E’ sempre un chilo.


Facciamo una cosa, metaforica e banale da dire, per niente da applicare.
Prendiamo la bilancia dal bagno e buttiamola via.
Non dalla finestra, che metti passa qualcuno…

Mettiamola in cima all’armadio o portiamola in cantina
(o regaliamola a un dietista/nutrizionista neolaureato, che gli serve per iniziare a lavorare, prima di acquistarne una professionale).

Buttiamo anche il metro e tutto ciò che si relazioni alla nostra figura con i numeri.
Come dice una mia collega: “tuo figlio non si ricorderà del tuo peso, si ricorderà di com’era divertente o no giocare con te al mare e in piscina” e ” tuo marito non si ricorderà del tuo peso, si ricorderà di com’eri bella quando ridevi e cantavi sotto la doccia”.

La risposta all’indovinello è un’altra.
Pesa più un chilo di cura di se.

Fare la spesa a dieta?

La dieta inizia dal carrello. O forse ancora prima.
Inizia da cosa pensiamo dello “stare a dieta” e da cosa, di conseguenza, metteremo nel carrello.
Di seguito una manciata di consigli pratici per comportarsi bene al supermercato – al mercato o in qualsiasi altro posto si faccia la spesa.

Sarò banale, ma anche la spesa è di quelle attività che non facciamo consapevolmente.
Questo influisce sul nostro girovita o sulla difficoltà di perdere peso? Poco o molto, di certo ha una sua importanza, anche in piccolissime scelte.
Un po’ come chi tira con l’arco. Se si sposta anche di un solo millimetro, sul lungo, la freccia cambia completamente punto di arrivo.
giphyPreparazione:
Come si va a fare la spesa? Senza fame.
Avere fame di fronte agli scaffali annebbia la nostra lista della spesa – scritta o meno – e ci spinge ad acquistare prodotti che sazino,anche solo idealmente, questo nostro stimolo.
Vincenti in questo processo, i prodotti vicino alle casse dei supermercati. Rapidi, golosi ma spesso pieni di zuccheri. Tipo? Snack veloci al cioccolato, frutta secca già sbucciata, caramelle e simili.
Soluzione: scegliere, ove possibile, orari in cui non ci sia fame per andare a fare la spesa.
Subito dopo mangiato può essere una buona idea.

Composizione del carrello:
qui entra di certo in gioco la vostra dieta.
Dieta intesa come stile di vita, sia chiaro. Se siete sportivi, vegetariani o dovete confrontarvi ogni giorno con una patologia dall’impatto alimentare importante (allergie, diabete, pressione alta) avrete di certo delle indicazioni più precise da seguire.
Allo stesso modo, se “siete a dieta”, ciò che scegliete di portare adal supermercato a casa e di tenere in dispensa influirà di certo sul raggiungimento dei vostri obiettivi.
In linea di massima, sulla composizione del carrello, bisogna cercare il più possibile di scegliere prodotti freschi nel reparto ortofrutta.
Frutta e verdura, soprattutto “cucinabile in anticipo” per organizzare al meglio la propria settimana.
Questo periodo è quello in cui sono presenti molte verdure/ortaggi che hanno bisogno di cotture lunghe, come la lessatura.
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Comodissime da avere in casa, lessare la domenica e consumare nei giorni a venire.
Consiglio:
Provate anche ad acquistare verdure/ortaggi nei confronti dei quali nutrite dei pregiudizi. Perchè è molto che non li mangiate, perchè non sapete come cucinarli, per qualsiasi altro motivo, sperimentare è sempre utile.
Google vi offre milioni ricette.
Prendete me, che le rape rosse non le amo, ma che rendono tutto molto rosa.Ogni tanto le acquisto e sperimento. Con più o meno successo.


Ma a cosa fare attenzione quando si fa la spesa?
Di getto risponderei alle etichette. Se non avete indicazioni specifiche per la vostra salute, sarà semplice scegliere prodotti perlopiù freschi (non solo frutta e verdura, ma anche formaggi freschi, carne e pesce di un certo tipo) o prodotti che in etichetta contengano pochi ingredienti.
Certo, bisognerebbe prestare attenzione anche a quali ingredienti.
Gli ingredienti dei prodotti che acquistiamo (vale anche per le creme per il viso) sono in ordine per contenuto. Il primo è il più contenuto, l’ultimo il meno contenuto.
Se dobbiamo prestare attenzione al contenuto di sale o di zuccheri, acquistare prodotti che ne siano sprovvisti o in cui questi compaiano solo alla fine, può essere davvero utile per la nostra salute.
Consiglio n.2, non farti abbindolare.
Se facciamo la spesa in fretta e affamati, sostanzialmente la faremo più velocemente.
La velocità va d’accordissimo con i claims, ovvero le scrittine invitanti presenti sulle etichette.
Il nostro cervello lavora per associazione.
Legge “senza grassi” e pensa a donnine in bikini che corrono sul prato con nastri colorati.
Legge “light” e pensa al numero sulla bilancia che scende.
Legge “naturale” e pensa al nonno in campagna e al fatto che “si viveva meglio prima”.
Se abbiamo fretta, fame o voglia di rimetterci in forma, non stiamo a pensarci su.
Nel nostro carrello “senza grassi”, “light” e “naturale” hanno via libera.
Come sapete, o forse avete già provato, questo non basta per ottenere o mantenere un risultato.
Spesso dietro uno yogurt “senza grassi” si nasconde lo stesso quantitativo di carboidrati di alcuni piccoli gelati industriali.
Dietro un “naturale” c’è soltanto un’etichetta verde, con delle foglioline qua e là.
SOLUZIONE FINALE.
Spesso i pazienti nuovi che vedo nel mio studio affermano frasi come: “io so cosa dovrei fare: aumentare frutta e verdura, mangiare più prodotti freschi e meno elaborati, consumare più pesce e legumi”.
Il problema non è il conoscere o meno queste linee guida. Se usciamo dal mercato con 1 busta di zucchine, 2 filetti di pesce, biscotti, dolci, prodotti pronti e da forno, il vero problema è l’applicazione di queste linee guida.
Se il nostro carrello è composto esclusivamente da cibi utili al nostro obiettivo di salute e tutto il resto non entra in casa, quando abbiamo desiderio di concederci qualcosa di più, di goloso o di diverso, saremo costretti ad attrezzarci per trovarlo.
Da “prendi il gelato” a “usciamo, vestiamoci e andiamo a prendere il gelato”.
Da “Stasera friggiamo” a “andiamo al ristorante X, che fanno il fritto migliore del mondo”.
Può sembrare che cambi poco, ma sul lungo termine, la vostra freccia sarà finita da tutt’altra parte.

 

 

Fame nervosa e alimentazione incontrollata.

Dopo la nostra diretta Instagram di ieri, riporto per iscritto quanto ci siamo raccontati ed è venuto fuori riguardo questo argomento spinoso e molto spesso  frainteso.

Innanzi tutto vediamo un po’ di provare a dare alla fame nervosa una definizione, non convenzionale, ma comprensibile.

Fame nervosa è una “traduzione sbagliata”.
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Riceviamo l’INPUT “fame” e lo convertiamo in bisogno di cibo, veloce, istantaneo e gratificante.
Sul momento.
La vera questione si pone sul dopo.
Ci sentiamo in colpa, poi inadatti, poi qualcosa di peggio.
E ce lo diciamo, rinforzando il concetto ed entrando in un circolo vizioso difficile da scardinare.

Da dove deriva la fame nervosa? Una sola e propria causa, probabilmente non c’è.
C’è chi la fa risalire ad alcuni “atteggiamenti di compenso” avuti o ricevuti.
Se fai la brava, andiamo a mangiare il gelato.
Il bimbo piange, lo allatto.
La bimba piange, le do il ciuccio.
(Gentilmente rubato a Io Non Mi Stresso )
Questi sono alcuni dei primi esempi di Misunderstanding tra un bisogno o un corretto comportamento e la fame.

Altro è di certo correlato al fatto che in età adulta, siamo abituati a festeggiare eventi più o meno importanti attraverso il cibo.
Parliamoci chiaro, siamo esseri umani.
Nell’antichità i nostri riti finivano con dei banchetti. Al giorno d’oggi un amico che non abita nella nostra città, un’auto nuova, un matrimonio o qualsiasi altro avvenimento ha a che fare col cibo.
Ci è impossibile, come esseri umani, svincolare il cibo da questo.

Imparare a gestirlo è ben più complesso, certo, ma che gran risultati ci dà.
Come si fa? Ci sono alcuni consigli utili in linea generale, anche se -sarò ripetitiva- ogni caso è a se.
In linea di massima è utile RALLENTARE.

L’attacco di farme, la fame nervosa, o nei casi più complessi l’alimentazione incontrollata, hanno una caratteristica che si presenta forte:
LA FRETTA.
Se riuscissimo a darci qualche minuto tra l’Input “fame” e l’azione “mangiare”, potremmo attutire un po’ il colpo.
Ho fame o credo di averne.
Vado in una stanza che non abbia cibo.
Faccio 3 respiri profondi (alcune discipline orientali consigliano eventualmente multipli di tre. 6,9,12…) mi rilasso e vedo che succede.
Se ho ancora fame, posso provare a bere 1 o 2 bicchieri d’acqua, sempre con lo scopo di placare questa spinta.
Ho ancora fame? Magari si, magari no.
Di certo mi avvicinerò alla dispensa o al frigo con una “foga un poco più quieta”.
Potrei mangiare meno, o fare scelte più consapevoli. Oppure no.
Ma è un tentativo senza effetti collaterali. Nella peggiore delle ipotesi farai un po’ di pipì.

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Ma a livello dietetico/nutrizionale?
In generale è utile evitare diete fai-da-te o eccessiva restrizione calorica.
Preferibili sono equilibri alimentari che comprendano,anzichè escludere, tutta una serie di alimenti in genere “proibili/sbagliati/scorretti”.
Mi rivolgo ai miei colleghi.
Abbiamo dalla nostra parte le kcalorie, i nutrienti e tutta una serie di competenze per le quali all’intero di un piano alimentare possiamo inserire molte alternative.
Perchè non valutarne qualcuna che ha qualche pecca a livello nutritivo, ma che permetta ai nostri pazienti di ottenere e mantenere un risultato?

Ridurre al meno l’input “fame” è di certo una strategia con buone possibilità di vittoria.
Allo stesso modo funziona “stare a dieta” con cibi gratificanti.
Evitare di digiunare a lungo, avere nelle proprie alimentazioni cibi da sempre (erroneamente) considerati scorretti, può di certo influire ad aiutarci con atteggiamenti e comportamenti compensatori nei confronti del cibo.

Spesso non basta, è necessario per imparare a comprenderli e gestirli CONSAPEVOLIZZARE.
Consapevolizzare è possibile attraverso un piano alimentare, ma è di certo più mirato attraverso l’aiuto della psicoterapia.
E’ un po’ come se dovessimo andare in cima a un monte.
La dieta sono le ciaspole.
Magari alla fine ci arriviamo in cima, perchè no.
La psicoterapia è una funivia.
Ognuno farà il suo percorso, con l’una o con l’altra senza giudizio.
La seconda è un po’ più mirata ad arrivare in cima.
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Ma quindi se ho avuto un attacco di fame nervosa devo andare dallo psicologo?
(Premesso che questa frase sembra ancora fraintendere quel vecchio stereotipo psicologo= mica sono matto, che è una sciocchezza)
Dipende, ciò che rende la fame nervosa, bisognosa o meno di un trattamento (di psicoterapia, nutrizionale o entrambi) è sostanzialmente la frequenza e l’intensità con cui si verifica, e poi tu.
Quanto questo rappresenti per te un ostacolo, puoi deciderlo autonomamente.
Una giornata impegnativa che una volta è sfociata in una fame nervosa, non dovrebbe generare grossa preoccupazione.
Viceversa, se capita frequentemente, in associazione ad emozioni più o meno cariche negativamente, può alla lunga diventare molto presente e di disturbo nella tua vita.